Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Con questo verso si apre la celebre poesia I pastori, scritta da Gabriele D'Annunzio nel 1903.
Tale invito si potrebbe rivolgere oggi alla massa di studenti che, alla fine di ogni estate, lascia la propria casa, il proprio paese e, in molti casi, la propria Regione per andare a frequentare un Ateneo in altre zone d'Italia.Vediamo un po' di numeri.
Secondo l'analisi dei flussi, effettuata in base ai dati forniti dall'Anagrafe Nazionale Studenti, sono ben 400.000 gli studenti che, una volta ottenuto il diploma, scelgono di intraprendere il percorso universitario fuori sede nel nostro Paese, su una “popolazione” di circa 1.600.000. Si tratta quindi del 25% del totale.
La distribuzione di questo “esodo” non è omogenea, ma sembra nettamente evidenziare uno spostamento dalle regioni del Mezzogiorno (in particolare Puglia, Sicilia, Campania e Calabria) verso le grandi città del Centro-Nord, come Milano, Bologna, Firenze e Roma.
Esistono anche notevoli differenze tra le varie Regioni riguardo la capacità di “trattenere” i propri studenti, basti pensare che ben il 40% degli universitari pugliesi vive e frequenta al di fuori dei confini regionali, mentre il 90% dei giovani laziali ed l’87% dei lombardi sono iscritti agli Atenei delle loro rispettive Regioni.
Leggendo questa carrellata di cifre si può ben comprendere la rilevanza del fenomeno "fuori sede".
Se entrassimo adesso in una Facoltà della nostra Firenze, con tutta probabilità la metà delle persone che incontreremmo non sarebbe toscana.
Ma ci siamo mai fermati a riflettere su cosa comporti essere uno studente fuorisede?
A mettere centinaia, se non migliaia, di chilometri di distanza dalla propria casa e dalla propria famiglia?
A gestirsi da soli, molto probabilmente per la prima volta, a 19 anni?
A dover fare i conti contemporaneamente con esami, affitti, bollette, coinquilini, ansie e paure per il futuro?
La scelta di andare a vivere e studiare altrove è un banco di prova importante per un/una giovane, che presuppone un cambiamento, anche radicale, delle proprie abitudini e del proprio stile di vita.
Le ragioni di questa scelta possono essere molteplici:
Queste istanze, o una loro combinazione, si vanno ad intrecciare con gli sforzi e le oggettive difficoltà che la vita lontana da casa comporta, come il far quadrare i conti, gli esami da superare, l’adattarsi ad una città nuova e sconosciuta, il sentimento di solitudine e il porsi delle domande riguardo al proprio futuro a breve e lungo termine.
Quello che ci preme sottolineare, però, è che non tutti sono pronti al cambiamento, pur avendo scelto di trasferirsi.
La realtà fuori sede implica infatti un’evoluzione soprattutto interna: può mettere in discussione una preesistente immagine di sé, che si fatica a lasciar andare, e impone di affrontare nuove responsabilità e nuovi compiti evolutivi.
Questo può provocare nello studente ansia e altri disagi.
Un recente studio dell’American Psychological Association, riguardante 14.000 studenti al primo anno di 19 Università di varie parti del mondo, ha trovato che il 35% degli intervistati riportava sintomi concordi con una diagnosi di disagio psichico, in particolar modo depressione e ansia generalizzata.
In questi casi sarebbe importante non sottovalutare la situazione e contattare uno specialista.
Il lavoro psicologico permette allo studente di riflettere e dare un senso alla propria condizione e valorizzare i risultati raggiunti, sostenendo e promuovendo le sue risorse interne e relazionali.
Il concetto fondamentale è che il cambiamento non è di per sé una minaccia, né un “tradimento” delle proprie radici, ma un’opportunità di crescita, verso una maggiore consapevolezza di sé, dei propri desideri e dei propri bisogni.